domenica 15 ottobre 2017

Corso di Tecnica, Trieste 8 – 16 luglio 2017

Dopo il brutto colpo della scomparsa di Fabrizio, riprendiamo a pubblicare alcune news, recuperando un arretrato di agosto, si lascia la parola a Cristian:


Sono arrivato alla stazione di Trieste nella mattinata di sabato 8 luglio. Il buon Linus della Boegan di Trieste è venuto a prendermi e mi ha portato presso la struttura che per una settimana sarebbe stata la nostra casa, la nostra mensa, il nostro magazzino,la nostra scuola e la nostra area ricreativa.
Trattasi di un ex-caserma angloamericana risalente al tempo in cui Trieste era territorio libero posto sotto la giurisdizione degli Alleati. Dopo essere stato un ricovero per sfollati istriani, negli anni '80 ha subito una laboriosa ristrutturazione, divenendo l'Ostello Scout Alpe Adria, in località Prosecco.
Io e il pugliese Umberto siamo i primi allievi giunti e prendiamo posto in una delle camerate.
Nel pomeriggio arrivano quasi tutti e presto si instaura un clima amichevole, subito arricchito dai racconti delle proprie esperienze speleologiche, in un meltin pot di accenti diversi rappresentanti varie regioni: Lombardia, Friuli, Veneto, Umbria, Calabria, Puglia, Emilia Romagna.
Iniziano ad affluire anche gli istruttori e il direttore della Scuola, Stefano Nicolini, ci ragguaglia brevemente sul regolamento e ci fornisce il piano generale delle attività che andremo a coprire durante il corso.
Prima di cena assistiamo alla prima lezione teorica del corso: introduzione su progressione, tecniche d'armo e materiali. Nulla che la maggior parte di noi non sapesse già, ma è servito a farci entrare nella giusta forma mentis.
Gli istruttori iniziano a formare i gruppi per la prima attività pratica. Sul muro troviamo presto esposti i rilievi delle grotte che avremmo visitato, gli elenchi coi componenti dei gruppi e il relativo materiale.


Dopo cena (devo dire che non c'è stata una volta in cui non abbiamo mangiato egregiamente in tutta la settimana), ritiriamo il materiale dal magazzino e ci apprestiamo a prepararlo per il giorno dopo, filando le corde nei sacchi e organizzando i moschettoni.
Domenica 9: palestra.
Siamo divisi in due grossi gruppi. Una metà andrà alla Grotta dei Cacciatori (una dolina di crollo molto bella), mentre l'altra metà si recherà in una ex cava nella stessa zona.
Io sono assegnato alla Cacciatori. Passiamo i primi momenti cercando di capire assieme agli istruttori il livello tecnico di ogni allievo, al fine di ottimizzare attività e persone.
Salvo un paio di persone che avevano fatto il corso base pochi mesi prima (per correttezza devo dire che la cosa non era molto evidente, anzi si sono dimostrate piuttosto preparate), l'esperienza media dei partecipanti consiste in circa due o tre anni di pratica speleologica.
Tanto noi quanto gli istruttori abbiamo ritenuto che il nostro livello fosse giusto per partecipare ad un corso tecnico: nessuno di noi era troppo principiante per capire i contenuti, ma al tempo stesso nessuno di noi era troppo esperto da non riuscire a cambiare, ad apprendere, ad adattarsi. Secondo me è proprio questo il punto cruciale: il corso può dare tanto ma devi arrivarci in un momento in cui sei ancora capace di assorbire come una spugna, con la mente spalancata e conscio del fatto che su quindici istruttori, ogni tecnica ti verrà insegnata correttamente ma, potenzialmente, con quindici varianti a seconda delle preferenze e dell'esperienza del docente stesso.
Premetto che non ho visto spocchia da parte di nessun allievo, nemmeno tra i giovanissimi che, comprensibilmente, potevano avere l'impeto della gioventù. In ogni caso, osservando capacità e perizia degli istruttori, abbiamo comunque fatto un bel bagno di umiltà.

La giornata in palestra trascorre esercitandosi nelle tecniche d'armo. Armi di tutti i tipi: naturali, su spit, su fix, garda a quattro punti d'attacco, traversi, deviatori. Abbiamo piantato spit, applicato fix, posizionato piastrine ritorte, coudée, anelli, cordini.
Cristian preso con l'armo in palestra

Alla fine della giornata, tutti avrebbero dovuto attrezzare un traverso, tutti avrebbero dovuto utilizzare il trapano, tutti avrebbero dovuto armare una partenza nel vuoto. E soprattutto, tutti avrebbero dovuto capire la differenza tra un nodo “che tiene” e un nodo fatto a regola d'arte, perché si sa: i nodi devono resistere ma devono anche poter essere regolati e sciolti con relativa facilità.
Complice la grandezza e la conformazione della grotta, caratterizzata da un ponte di roccia molto suggestivo nel punto più alto, l'obiettivo della giornata è stato raggiunto.
Terminiamo le attività attorno alle 16.30 e torniamo subito all'ostello. Prima della consueta birra e del debriefing, consegniamo il materiale al magazziniere, che ci verrà riconsegnato appena prima di cena, già pronto per il giorno dopo.
Lunedì la mia squadra va alla grotta Ercole. Prima di partire, tappa alla pompa dell'acqua per bagnare le corde e renderle più malleabili.
Come prima cavità del corso, si è scelta una grotta classica, piuttosto facile. Ci dividiamo e ognuno di noi – supervisionato da un istruttore – attrezzerà una via. Parto con un armo doppio colonna-spit e inizio a scendere. Si tratta di circa tre pozzi con pochi frazionamenti, predisposti molto bene. Siccome non c'è molto da penare nell'attività d'armo, la mia istruttrice, Anna, pone molta attenzione sui nodi. Mi mostra la maniera più corretta di eseguirli al fine di ridurre al minimo eventuali aggiustamenti successivi. Presta particolare attenzione sul modo in cui i due capi di corda lavorano all'interno del nodo.
Arrivo sul fondo dell'ultimo pozzo e, dopo aver girato l'angolo, mi trovo in un grande salone a pianta quasi circolare. Il pavimento è coperto da uno strato compatto di terra e - divertito - trovo due palloni da calcio! Ci dicono che in quella grotta è tradizione degli speleo triestini tenere le “Ercoliadi”, una sorta di giochi senza frontiere in versione sotterranea in cui, complice l'arena naturale, più squadre si sfidano nella corsa cosi sacchi e altre attività. Nonostante non sia mai stato un appassionato di calcio, non resisto alla tentazione di dare qualche calcio al pallone. Una volta giunti tutti sul fondo, inizia uno scambio improvvisato di passaggi e cross tra allievi ed istruttori per una decina di minuti.
Decidiamo di risalire perché la giornata è ancora lunga. Il disarmo è veloce e privo di problemi.
Appena tornati a Prosecco, subito dopo il consueto lavaggio del materiale e la riconsegna presso il magazzino, ci prepariamo per la “gita di istruzione” alla famosa Grotta Gigante. Una volta arrivato in loco, noto che la struttura si è ampliata rispetto a quando l'avevo visitata da bambino: punti di informazione, museo, uffici, sala congressi. Prima di scendere nella grotta, assistiamo alla lezione di geologia, con particolare attenzione al fenomeno del carsismo.
La visita alla grotta è arricchita da stimolanti spiegazioni che, vuoi per l'età, vuoi per la passione verso la speleologia, aggiungono interesse allo stupore che nuovamente provo osservando questo ambiente incredibile. Il giorno dopo si replica in palestra. Io vado nuovamente alla Cacciatori ma questa volta, oltre alle normali esercitazioni d'armo, ci dedichiamo a rotazione anche alla risalita in artificiale, utilizzando una barra metallica collegata ad uno spezzone di corda che ci permette di portare il corpo ancora più in alto, agevolando l'applicazione degli ancoraggi.


Viene dato spazio anche all'illustrazione dei vari tipi di paranco, alle tecniche di recupero con contrappeso e al famoso (o famigerato) soccorso uomo a uomo.
Mercoledì si prospetta invece come uno dei giorni più interessanti di tutto il corso.
La mia squadra visita la grotta Tom, di esigua profondità ma che ci riserva un fondo ricchissimo di concrezioni meravigliose. Da un punto di vista tecnico, ho trovato davvero interessante l'aver utilizzato quasi esclusivamente armi naturali: dovevo aspettarmelo alla consegna dei circa venti cordini da parte del magazziniere. La consegna degli istruttori era: “oggi solo armi naturali; ad ogni partenza e ad ogni frazionamento non dovete mai ripetere lo stesso nodo e dovete trovare soluzioni sempre differenti”. Da quel momento è stato tutto un aguzzare la vista per cercare colonne robuste, stalagmiti delle giuste dimensioni, rocce nella posizione migliore e speroni della giusta angolazione. La soddisfazione datami dalla bellezza delle concrezioni non è paragonabile a quella delle nuove conoscenze che ho maturato. Unica nota dolente: una quantità di fango inaspettata. Ogni pozzo, ogni scivolo, ogni meandro era coperto da un viscidissimo strato di fango che costringeva ad appoggiarsi sulle ginocchia durante l'attrezzamento degli armi. Se provavi a puntare i piedi, finivi in spaccata come Eather Parisi ai tempi d'oro.
Dopo le foto di rito, risaliamo con una certa rapidità: alla sera ci aspetta la lezione sulla biomeccanica e dopo... Grande festa. Purtroppo i ricordi in merito sono un po' annebbiati per la momentanea carenza d'acqua (si sa: le zone carsiche sono sempre un po' aride) a cui si dovette sopperire con un equivalente quantitativo di bevande alcoliche di ogni genere. Tra chitarre, canzoni ed improbabili discussioni tecniche, vediamo il lato più informale degli istruttori e abbiamo occasione di rilassarci e conoscerci meglio.
Il giovedì è stato classificato come “giornata di decompressione”: le scelte erano tornare in palestra oppure andare alla grotta Noè. Non me lo faccio ripetere due volte: in una decina raccattiamo prontamente le corde che ci servono per attrezzare la calata di sessanta metri nel vuoto più totale. Quando arriviamo sul posto, siamo colpiti dalla vastità della dolina di crollo e non nascondo il sensibile batticuore avvertito una volta sportomi dal bordo. Dopo il primo frazionamento “di servizio”, lo spazio che si apre sotto di noi ci lascia senza parole. Potrebbe tranquillamente atterrare un elicottero. Scendiamo lentamente, sia perché gli attrezzi iniziano a scaldarsi considerevolmente, sia per goderci il panorama. Una volta poggiati i piedi sulla collina di frana, decidiamo di fare una breve esplorazione degli spazi interni: non mancano le concrezioni, anche di dimensioni importanti, ma notiamo una cosa a cui non siamo abituati nelle grotte “integre”: uno spesso strato di muschio ricopre il tutto, dando di l'idea di trovarsi in un fondale marino.
Passiamo la serata a ribadire il nostro stupore per la Noè.
Discesa del pozzo d'ingresso della Noè

Secondo il programma del corso, il venerdì sarebbe stato dedicato alla progressione in ambiente ipogeo con lunga permanenza. All'inizio gli istruttori avevano pensato alla Grotta Impossibile, ma per cause meteorologiche e logistiche, si è optato per l'Abisso Vigant, in provincia di Udine.
Si decide di partire scaglionati: una squadra d'armo e una da disarmo, per non rischiare affollamento. Dal parcheggio scendiamo una scalinata e arriviamo nella caverna che costituisce l'ingresso dell'abisso. Una passerella di legno ci suggerisce la natura turistica del loco, quantomeno nel tratto iniziale. Scavalchiamo la balaustra e, disarrampicando per un breve tratto, ci portiamo verso l'entrata che ci interessa. Incontriamo quasi subito un traverso attrezzato con cavi d'acciaio da ferrata. Poco dopo arriviamo al primo dei vari laghetti interni e questa volta ci imbattiamo in un cavo metallico che lo attraversa diametralmente: ci allongiamo e lo attraversiamo appesi con la tecnica della lombrico. Di sicuro se i nostri moschettoni in lega avessero avuto il dono della parola, non ci avrebbero risparmiato epiteti poco simpatici.
Oltre questo passaggio troviamo il primo di una serie di pozzi e anche questo come gli altri, finisce in un laghetto. Il rischio di farsi il bagno è reale, ma se poco prima di toccare terra si utilizza il lasco per tirarsi verso il bordo, la possibilità è quasi nulla. Gli ambienti sono molto ampi e c'è molta acqua dappertutto. Segue un traverso piuttosto aereo, quasi da esplorazione. I più alti lo passano senza molti problemi, mentre dai più bassi si ode qualche improperio durante l'attraversamento.
Si arriva finalmente al pozzo da ottanta metri. Largo, verticale, tondeggiante, maestoso. Pochi frazionamenti e tanta voglia di guardarsi attorno mentre si scende, ma le lampade difficilmente riescono ad illuminare la parete opposta, non solo per la distanza ma anche per la nuvola di acqua vaporizzata che avvolge tutto.
Arriviamo verso il fondo e iniziamo a vedere qualche membro della squadra d'armo. Alcuni stanchi, altri sconsolati perché il sifone sul fondo ha impedito di raggiungere lo desiato obiettivo, ma l'acqua era molta ed impetuosa: meglio non sfidare oltremodo il fato.
Il tempo di un tè caldo e in ordine cominciamo a risalire. Alcuni tratti hanno due corde parallele, il che snellisce molto le risalite. Gli ultimi riemergono attorno alle tre del mattino, fradici ma felici.
Torniamo all'ostello che è ancora buio e dopo una veloce colazione, andiamo in branda.
Sabato nessuno ha intenzione di svegliarsi presto e ancora meno si ha voglia di assistere all'ultima lezione sulle responsabilità e i rischi, ma ce la facciamo piacere. Il premio è il pranzo che, come sempre, è abbondante e di ottima qualità. Dopo la consegna degli attestati e delle foto di rito, alcuni allievi partono alla volta di casa, altri invece decidono di fare un breve tour di Trieste in compagnia degli istruttori. Il corso volge al termine e si avverte un po' di malinconia, ma al tempo stesso si è consci di aver imparato molto e di aver trovato nuovi, buoni amici.
Avevo già fatto corsi speleo fuori sede, ma mai uno di tale durata e complessità. Un plauso va fatto agli organizzatori dell'Associazione XXX Ottobre, della Commissione Boegan e a tutti gli istruttori, ai cuochi e agli aiutanti che hanno saputo far funzionare tutto così bene.
Domenica vanno via anche gli ultimi allievi, con una salda convinzione: questo corso non è un punto d'arrivo, ma un punto di inizio.


Cristian Congiu


Foto di gruppo

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