sabato 18 luglio 2015

Corso 2015: il parere di un partecipante

Purtroppo con un po' di ritardo di cui mi scuso, pubblico le impressioni di Cristian Congiu che ha partecipato al corso di introduzione 2015.



Walter Bonatti una volta affermò che non esiste un posto, sulla superficie terrestre, che non sia stato ancora visto dall'uomo. Anche i posti considerati inaccessibili dai temerari esploratori, ormai sono stati ben scanditi dall'occhio dei satelliti.

 

 

Dai poli alle regioni equatoriali, dall'Himalaya alle depressioni del Sahara, non esiste un punto davvero inesplorato. In un certo senso, tutto ciò che vediamo all'orizzonte è già conosciuto. La curiosità dell'uomo moderno, la sua fame di scoperta, trova sazietà quando guarda verso l'alto... O verso il basso. Sono queste le due direzioni che ancora oggi sono state esplorate solo in minima parte.
Quando da bambino lessi “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne, rimasi affascinato dal pensiero che sotto al nostro mondo, potesse essercene uno altrettanto vasto e meraviglioso.
Ed effettivamente non è da molto tempo - rispetto ad altri ambienti
- che la scienza, senza “fanta-” davanti, ha trovato un reale interesse nello studio delle cavità naturali. E' forse una delle branche più recenti.
Ammetto che prima di frequentare il corso, sapevo solo in minima parte in cosa consistesse l'attività speleologica. Le informazioni a riguardo che filtrano nel “mainstream” sono davvero poche. Mi sono sempre chiesto cosa facessero quegli strani tizi con la lampada sul casco:  un po' minatori, un po' alpinisti, un po' geologi... Certo è che da molto tempo volevo provare questa disciplina.


Foto di gruppo al Palamonti





Cristian ad un frazionamento



In un mese e mezzo di calate nei pozzi, di passo del leopardo in cunicoli fangosi e di lezioni teoriche, mi è tornato in mente qualcosa che pensavo di aver rimosso dal cervello dopo gli studi: il “Mito della Caverna” di Platone... Ma in un certo senso rivoltato, come un calzino. Il mito narra di uomini incatenati sul fondo di una grotta, capaci di vedere solo le ombre di alcuni oggetti sul muro e con le percezioni in genere molto ridotte o alterate. Uno dei prigionieri viene liberato ed impiega molto tempo per abituare i propri doloranti occhi alla luce; in seguito inizia a vedere le cose secondo un'altra prospettiva ed infine raggiunge l'esterno, che rappresenta la conoscenza. L'uomo libero decide di tornare nella grotta per rendere partecipi gli altri prigionieri delle sue scoperte ma, una volta rientrato, deve riabituare la vista al buio, risultando goffo e disadattato agli occhi dei reclusi. Accusato di essersi “rovinato gli occhi” con questo suo assurdo viaggio all'esterno, l'opera di convincimento e liberazione dei compagni risulta quasi impossibile e a tratti pericolosa: i prigionieri si rifiutano di credere e potrebbero anche arrivare ad uccidere l'uomo che ha raggiunto la conoscenza, piuttosto che abbandonare le proprie convinzioni ed intraprendere un percorso ricco di incertezze, sebbene in realtà più appagante.

Se ai tempi di Platone, la grotta rappresentava il buio dell'ignoranza, nel terzo millennio si sta realizzando come una parte importante della conoscenza, si trovi proprio nel sottosuolo. Se ci pensiamo, lo speleologo compie il medesimo tragitto ma nella direzione opposta: armato di passione, parte dalla superficie e scende nella grotta. Sul fondo, può aver scavato, può avere esplorato, può aver fatto rilievi scientifici, ma una volta tornato in superficie compie una piccola opera di sensibilizzazione, un sottile percorso personale di liberazione e divulgazione. Per tutti. O quantomeno, per tutti coloro che avvertono ancora l'antica tentazione verso l'avventura. Quella genuina, quella dei libri di Jack London, quella che ti fa sopportare di buon grado il freddo, il fango, la fatica.
Che dire, io non ancora scoperto nulla di nuovo e non so se mai riuscirò in tale impresa, ma di una cosa sono certo: oggi, su questo mondo, ci sono un po' di persone in più che, a seguito dei miei appassionati racconti, hanno smesso di dire “ma allora sei uno di quei matti che si infila nei buchi della roccia!? Ma non vedi i telegiornali? E' una cosa da sciocchi!”. Da novellino fresco fresco di corso, ho abituato i miei occhi al buio e ho fatto capire ad una manciata di amici, che è semplice liberarsi dalle catene e che la scoperta è molto più vicina a noi di quanto pensiamo.

Le lezioni, le esercitazioni, la competenza degli istruttori e, soprattutto, il loro elevato numero in rapporto a quello degli allievi, mette veramente le persone nella condizione di comprendere, di apprezzare e di approcciarsi a questa disciplina in massima sicurezza. Ad un patto: un po' di spirito di sacrificio, capacità di adattamento e un po' di forza di volontà per proseguire quando il corpo inizia ad avvertire la stanchezza."
Cristian Congiu

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